Vuoto di ruolo: My GIG project management role (Ruoli: parte 2)

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Vuoto di ruolo: My GIG project management role (Ruoli: parte 2)

OK. Ci hai parlato della identificazione delle persone nelle organizzazioni in cui lavorano, del ruolo dell’appartenenza nella definizione del sé e della personalità. Hai parlato della numerosità dei ruoli che interpretiamo, proprio in ragione dell’articolazione del nostro mondo organizzativo e delle transizioni e dei riti di passaggio che creiamo per muoverci dall’uno all’altro preservando il nostro ‘posto’ in quei mondi. Ma come la mettiamo quando sono l’organizzazione stessa, il mio datore di lavoro, la pressione economica, la crisi a metter in discussione quello che sono, quando ogni sei mesi c’è un assestamento, un cambiamento, una trasformazione? E come faccio a dire che ho un posto quando lavoro da casa, resto connesso tutto il giorno, quando i colleghi cambiano di continuo, quando il mio contratto dura quello che dura?

Succede sempre più spesso: la promessa di continuità, di appartenenza, di ‘esperienza’ è sempre più effimera nelle aziende di oggi, anche quelle che sembrano più ispirate e da un giorno all’altro cambiano proprietà o azionista. È di fronte a noi, il nostro modo di lavorare si allinea sempre più a un modello da Gig-economy, l’economia della ipeflessibilità e della autonomia. In questo modello si estremizzano le parole di Peter Drucker: nella economia della conoscenza ognuno è amministratore delegato di sé stesso. Se ci pensate, la frenesia del lavoro a progetto(e naturalmente del team working) di oggi porta il gig model dentro le aziende. In un articolo dedicato a questo tema (From Surviving to thriving in the gig economy) Susan Ashford, Brianna Barker Caza e Erin Reid ci danno la prospettiva della psicologia organizzativa in merito a questo fenomeno.

Nella immagine che segue ci sono cinque significative categorie del lavoro, beh il nuovo modo di lavorare e quello vecchio massimizzano gli estremi di ciascuna. Provate a pensarci:

Per avere successo (forse solo sopravvivere…) e navigare in questo nel mondo del gig-project bisogna saper affrontare contesti con maggiore instabilità (economica e contrattuale), maggiore richiesta di autonomia (decisionale e operativa), incertezza nella durata e nella direzione della propria carriera, maggiore orientamento al cambio e alla transizione nel proprio ruolo e nel proprio lavoro quotidiano, una maggiore separazione fisica e relazionale. Attenzione perché il remote working ci sta spingendo velocementeverso la scala di valori alti di questi elementi di contesto. La Ashforth e il suo studio ci dicono che un intero range di esperienze più intense e spiazzanti si manifesta quando ci si sposta verso il registro alto della figura di raffronto di prima.

Questa figura e queste correlazioni sono molti interessanti: all’individuo si presentano delle sfide organizzative, emozionali, di identità, di relazione… Cambiare significa stare al fronte, essere soli in molti momenti, dover fronteggiare l’emozione del potenziale fallimento; d’altra parte, se pensiamo alla social identification theory (SIT) di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente, ne vengono quasi a mancare le basi: lavoro remoto, in solitario, interazioni ridotte al minimo… Quali sono le risorse cognitive alle quali dobbiamo attingere per far fronte a queste sfide che possono sembrare insormontabili a chi viene da esperienza di lavro organizzativo ‘vecchio stampo’.

Gli studiosi propongono ed evidenziano una serie di ‘comportamenti’ necessari per venirne a capo.

Emergono, come potevamo attendersi, la resilienza, la proattività e la agilità relazionale come caratteristiche apprese essenziali, alla quali si aggiungono la flessibilità e la capacità di regolare e gestire le emozioni.

Con questi concetti in mente proviamo a riportare il ragionamento sul lavoro di squadra.

Anche il lavoro in team cambia la propria dimensione: i team sono sempre più spesso portati a lavorare a distanza, magari in contesti culturali e sociali diversi e di sicuro quell’allineamento che viene dalla prossimità fisica e dal lavoro sincrono finiscono con l’essere meno praticato. Ciò non significa che non sono meno centrali le lavoro di oggi. Anzi.

Per questo la consapevolezza delle sfide che il gig working (quindi, la versione estrema della remotizzazione) ci pone ha una influenza determinante sulle strategie che adottiamo per rendere comunque possibile il lavoro di squadra.

Ecco alcune considerazioni in merito:

1)     È importante sviluppare e mantenere vivo un sistema un sistema mutuo di supporto relazionale: endogeno (nell’ambito del team) ed esogeno (nell’ambito della organizzazione); così facendo ci si assicura che le informazioni circolino, che si mantenga vivo l’allineamento e che non manchi la propensione al problem solving: ci deve sempre essere un momento in cui ci si scambia la disponibilità al supporto vicendevole. Le domande utili: di cosa hai bisogno, come posso aiutarti, come ti posso essere utile, e viceversa, ho bisogno di te, per favore aiutami, facciamo questo insieme, ecc.

2)     Cerchiamo di mantenere un sistema relazionale agile nel team e aperto alla collaborazione, prevenire la formazione di faultlines dovute a prossimità accidentali. Le domande utili: a che scopo lo stiamo facendo, dove vogliamo arrivare, come ci dividiamo questo compito, che cosa ti sembra che funzioni/non funzioni, chi ci può aiutare, a chi lo chiediamo.

3)     Coltiviamo la flessibilità cognitiva (processi, emergenze, metodi, monitoraggi) e identitaria (il team, il ruolo, l’organizzazione, lo scopo, il clima).

4)     Imponiamoci di vedere sia la componente sistemica che la componente concreta dei fenomeni che accadono, questa è l’ambidestrismo; anche laddove il compito sembra ristretto e ben indirizzato chiediamoci che vantaggio ci porta farlo e in particolare farlo in questo modo.

5)     Nel lavoro asincrono è importante sfruttare a fondo l’azione individuale, senza tirarsi indietro e senza rinunciare ad imparare e a mettere in pratica, anche sperimentando, quello che si è appreso dai feedback e dal trasferimento di conoscenze. Manteniamoci in condizione di ascolto attivo, imparando anche a compensare l’assenza di ascolto nei momenti sincroni a distanza.

6)     Anche nella difficoltà della azione solitaria o dell’errore solitario, gestiamo le emozioni e condividiamole.

Il gig-project management, abbiamo coniato un neologismo, ci impone di saper gestire i momenti di solitudine e di salo nel vuoto del momento asincrono come se fossimo degli apneisti, pronti a conservare le energie fino al successivo tuffo nel team.

Come vedete siamo passati dai ruoli all’assenza di ruolo: il remote working agisce un po’ come il vuoto e risucchia la nostra identità mettendoci di fronte a noi stessi, a un se al di fuori del contesto stabilizzante delle nostre organizzazioni.

Può essere una sfida durissima: rifugiarsi nel lavoro di team è una buona strategia!


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