Ah, lavoriamo insieme? L’effetto Ringelmann.

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Ah, lavoriamo insieme? L’effetto Ringelmann.

Abbiamo sempre pensato che, aristotelicamenteil risultato della somma dell’azione di più individui fosse di sicuro e sempre meglio della performance del singolo.

Beh, non è detto. E Vi faccio vedere perché.

Qualche sospetto dovrebbe venirci pensando alla famosissima legge dello sviluppo software chiamata legge di Brookaggiungendo risorse ad un progetto in ritardo se ne aumenta/peggiora il ritardo. Ma così restiamo ancora sul qualitativo.

Nel 1913 Maximilien Ringelmann, un ingegnere agrario francese, pubblica uno studio che entra nella storia. Ringelmann effettua una serie di esperimenti, mostrando che nel tiro alla fune, aumentando il numero di omaccioni che tirano, la forza complessiva sulla fune espressa da ciascuno è una frazione di quella espressa dal singolo. Di più. Quanto maggiore il numero dei tiratori, tanto minore la quota individuale rispetto alla prestazione singola. A occhio, la forza decresceva quasi del 10% ad ogni aggiunta. Ringelmann, da buon ingegnere, pensò che la ragione fosse da imputare ad una dispersione di sforzo derivante dalla maggiore difficoltà di coordinamento fra i membri del gruppo.

Negli anni Settanta e a più riprese, questa idea venne studiata e ristudiata e, soprattutto, applicata ad ambiti dove in gioco non c’era solo l’attività fisica ma anche quella cognitiva. Che si trattasse di tiro alla fune o di brainsotrming, praticamente tutti gli autori confermavano che, al crescere del numero di componenti di un gruppo, la performance diminuiva!

In realtà, qualche anno dopo Ringelmann (nel 1926), Otto Koehler fa una sperimentazione simile e rileva che, si, nei grandi gruppi l’effetto Ringelmann può essere vero, ma nei gruppi piccoli, da due a quattro componenti, l’azione di gruppo, invece, moltiplica la performance del singolo. Koehler lo spiegava ricorrendo all’idea della motivazione: in un contesto sociale ad alta visibilità (il piccolo gruppo) tutti i partecipanti all’azione si sentono motivati a dare il loro meglio e quindi la performance migliora. Questo studio passa tutto sommato inosservato.

Come vi dicevo, l’effetto Ringelmann diventa una star degli studi sociali al punto da essere considerato una  forma di malattia sociale, il social loafing, che mina alla base ogni forma di collaborazione umana su larga scala.

Si riscontra sperimentalmente e si misura addirittura il ‘sucker effect’: i componenti di una squadra in cui si comincia a manifestare il social loafing cominciano ad avere a sensazione di essere ‘i più fessi’ e mollano l’impegno a loro volta. Il risultato sulla performance del gruppo è catastrofico!

Ma i ricercatori non mollano, per vent’anni, dagli anni Ottanta fino ai primi Duemila, gli studi si susseguono cercando di individuare dei correttivi che possano porre rimedio a questa piaga sociale: la pigrizia.

Ah, ma mi stavo perdendo un pezzo.

Verso la metà degli anni Sessanta, un ricercatore e scienziato inglese, Derek Price, durante una ricerca statistica sulle pubblicazioni scientifiche, si rende conto che esiste una correlazione importante fra il numero di studi complessivamente pubblicati su di un argomento e il numero di autori che li producono. Di fatto, il 50% del totale degli studi è prodotto dalla radice quadrata del numero complessivo di autori.

Vista così sembra una legge innocua. Ma rapidamente viene adottata per filosofeggiare su tutta la produzione intellettuale e poi diventa una panacea per la letteratura di business. Il risultato è molto interessante. Guardate questa tabella.

 Forte, vero? 100 lavorerebbero per 10000…Peccato che sia una estrapolazione, né più né meno come la regola d Pareto. Eppure…la si usa nel dimensionamento dei team.

Torniamo ai nostri scienziati e ricercatori. Una dopo l’altra, le ricerche mostrano che ci sono dei fattori che riescono a ridurre l’effetto del social loafing e quindi a far crescere il rendimento del contributo del singolo.

Ecco alcune conclusioni in estrema sintesi:

·       Migliorare il coordinamento, le opportunità di interdipendenza, il confronto, la qualità degli scambi fra le persone: tutto questo migliora la performance e rende il lavoro di gruppo più efficace della semplice somma dei singoli.

·       L’effetto Ringelmann è positivamente correlato alle prestazioni e alla resistenza che i partecipanti conservano per prestazioni successive. In altre parole, le persone tendono a risparmiare forze e sforzi per quelle prestazioni che faranno da sole in condizioni di maggiore visibilità.

·       Il social loafing si riduce significativamente quando alle persone è data la possibilità di autovalutare la propria prestazione e di misurarne l’efficacia. In altre parole, umanizzando e trasformando l’attività in un apprendimento, la moltiplicazione della performance avviene!

·       La percezione della unicità della propria performance o della utilità della propria performance riduce drasticamente l’effetto Ringelmann.

·       Anche la fatica e la stanchezza incidono sull’effetto Ringelmann, e, come potete immaginare, lo incrementano!

E quindi?

La ricerca dimostra che il social loafing non è un comportamento negativo di per sé, ma una forma di difesa che le persone mettono in atto quando perdono la percezione che la propria attività sia distintiva e significativa. Intendiamoci: il tema del coordinamento esiste ed ha il suo effetto, ma non basta a far funzionare un team.

Quindi l’effetto Koehler può vincere sull’effetto Ringelmann!!!

Ecco perché con Paolo Chinetti abbiamo scritto “il Team Giusto”!


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